Quando l’economia si occupa di felicità: il libro di Canova

Sala Varesevive, dietro la Banca d’Italia. Luciano Canova, un economista della scuola Enrico Mattei, prova a sfatare un mito: gli economisti non si occupano di felicità. Il suo libro, Il metro della felicità, vuole ribaltare l’idea dell’economista grigio, che si occupa solo di Pil. L’economia si occupa di felicità: questo perché è una scienza sociale, una cosa che oggi spesso ci dimentichiamo. Perché? Perché in Tv vediamo Cottarelli e la Fornero, che ci ricordano che i soldi scarseggiano, che l’Italia rischia per l’enorme debito pubblico che ci affligge. In realtà l’economia è nata partendo dalla felicità: lo è dalla sua nascita, quando si  introdusse la funzione d’utilità, che serve a stimare quanto siamo felici.

Eurostat, giusto ieri, ha diffuso una statistica che dice quanto siamo felici: 2 europei su 3, mentre solo il 49% degli italiani lo sono. Ma è più interessante capire perché siamo più felici. Andando al sodo, più soldi uguale più felicità? Non proprio. Easterlin, un economista statunitense degli anni 70 si accorse che la correlazione tra reddito e felicità, oltre un tot di reddito, sfumava. Il reddito conta in confronto all’ambiente in cui ci troviamo: se le persone intorno a noi, con cui condividiamo la vita quotidiana e il lavoro, guadagnano molto più di noi, tendiamo a sentirci frustrati e inadatti. E se vinciamo alla lotteria? Dopo lo shock, in cui pensiamo che saremo eternamente felici, studi dimostrano che la felicità torna ai livelli di partenza. Questa normalizzazione però ha anche un lato positivo: torniamo “normalmente” felici anche dopo un tot che ci hanno diagnosticato una malattia cronica. Come dice Canova, “le persone si adattano”.

Lucio Valentini

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