I limiti deontologici quando si fa informazioni su minori, comunità LGBTPQ+ e migranti

La scarsa conoscenza delle leggi deontologiche e la frenesia dell’arrivare per primi sulla notizia sono i due principali motivi per cui negli ultimi anni si è utilizzato un linguaggio sbagliato o parziale per riferirsi a determinate categorie. É quanto emerso dall’incontro sui limiti deontologici tenutosi al Glocal22, che ha visto gli interventi del giornalista di Famiglia Cristiana Luciano Scalettari, la giornalista Marina Cosi e l’avvocato Marisa Marraffino.

«Questi giorni sono uno specchio chiaro della situazione. Pur essendoci la Carta di Roma che dovrebbe punire l’utilizzo inesatto di alcune parole, la situazione attuale è pessima. “Carico residuale” è un’affermazione che non dovrebbe mai essere usata. In Europa poi c’è da sempre una narrazione giornalistica che parla di invasione. L’uso di determinati termini ha una ricaduta nella percezione pubblica, politica e di propaganda». Questo il pensiero di Scalettari su ciò che sta accadendo a livello linguistico nella cronaca degli ultimi giorni sugli sbarchi nel Mediterraneo.

Dal punto di vista giuridico, l’avvocato Marraffino aggiunge: «C’è una grossa differenza tra la comunicazione giornalistica e quella social, dove abbiamo difficoltà, a livello legale, a tutelare chi viene offeso e discriminato, è molto difficile eliminare questo tipo di contenuti a causa di una mancanza normativa. Ora il Digital Services Act, il nuovo regolamento europeo sui servizi digitali, prevede una cultura della prevenzione dei rischi sistemici, dalla disinformazione ai contenuti illegali».

Infine è intervenuta la giornalista Marina Cosi, che si è  detta ottimista sul futuro del linguaggio giornalistico in un’ottica deontologica: «La situazione è migliorata moltissimo ma non è detto che questi passi in avanti non possano tornare indietro. Il Manifesto di Venezia, documento delle giornaliste e dei giornalisti per il rispetto e la parità di genere nell’informazione, è un modello da seguire».

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