Tra clickbait e influencer, i limiti della deontologia giornalistica

Informazione e pubblicità: quando finisce una e inizia l’altra? Un tempo erano blocchi distinti da precisi confini, ora è tutto più liquido. Da un lato il ruolo degli influencer e il rischio di creare confusione tra questi due mondi. Dall’altro il clickbait, l’utilizzo di titoli sensazionalistici per attirare clic sui social network. Nel mezzo, le regole deontologiche per orientarsi e offrire un’informazione corretta ai lettori.

Secondo Giuseppe Guastella, giornalista del Corriere della Sera ed esperto di cronaca di giudiziaria, per uscire dalla crisi in cui il giornalismo italiano è impantanato, è fondamentale capire la centralità delle regole dell’Ordine, che i giornalisti devono (o dovrebbero) seguire. Regole che, invece, non valgono per tutti quelli che giornalisti non sono (ad esempio i blogger). Guastella fa riferimento, nello specifico, all’Articolo 10 (Doveri in tema di pubblicità e sondaggi). Il giornalista, infatti, non solo deve assicurare ai cittadini il diritto di ricevere un’informazione corretta e sempre distinta dal messaggio pubblicitario, ma deve inoltre evitare di prestare il nome, la voce, l’immagine per iniziative pubblicitarie. Le uniche prestazioni pubblicitarie consentite dall’Ordine sono quelle volte a fini sociali, umanitari, culturali, religiosi, artistici, sindacali. Esse devono essere sempre precedute da una comunicazione scritta all’Ordine e a titolo gratuito.

Un punto di svolta, come ricordato da Vincenzo Guggino (segretario generale IAP – Istituto Autodisciplina Pubblicitaria) e da Maria Cristina Reale (Professoressa di Sociologia del Diritto dell’Università dell’Insubria), è la Digital Chart, redatta nel 2016, anno in cui è scoppiato il fenomeno del marketing degli influencer. Essa, innanzitutto, fa una distinzione tra celebrity, influencer e utente medio, e, soprattutto vincola chiunque sponsorizzi un prodotto (traendone beneficio economico) a dichiararlo attraverso parole chiave e hashtag (#pubblicità, #inpartnershipwith, #adv #advertising).

Marisa Marraffino, avvocata esperta in diritto dell’informatica, privacy e sfruttamento del diritto d’immagine, ha ricordato infine che l’advertising spesso è difficile da riconoscere. Si pensi, ad esempio, alle recensioni (che possono portare un’azienda molto in alto ma anche talmente in basso da farla chiudere) e agli articoli in cui si mettono tanti prodotti a confronto: pubblicità o no?

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