“Le parole che descrivono l’arte possono catalizzare una forza che quasi supera quella del disegno”

Il giornalismo può raccontare il maniera efficace l’arte? Gli ospiti del panel “Il tempo del bello: quando il giornalismo racconta l’arte” hanno provato a spiegare come farlo.

“Ho avuto la fortuna di essere tra le prime ad aprire un blog sull’arte – racconta Elena Bordignon, creatrice Atp Diary (Art Text Pixel)- Non c’era né una strategia, né una redazione. La facilità tecnica del digitale dava la possibilità a qualsiasi persona di farlo. Ora è diventato un sito strutturato”. La frequentazione del mondo dell’arte e della moda ha fatto emergere la necessità di esprimere sul web i suoi pensieri e le sue impressioni, unendoli con una delle prime macchine fotografiche digitali le immagini delle mostre a Milano e ai suoi esponenti più illustri. “All’inizio volevo solo scrivere d’arte, ma poi mi sono trovata nel turbinio di decine di migliaia di lettori mensili”. L’importanza del contesto e la consapevolezza del proprio pubblico è fondamentale per scrivere bene d’arte e stabilire “la profondità dei nostri pezzi”.

“Se non comunichi a te stesso, non puoi farlo agli altri – spiega Riccardo Blumer, architetto e direttore dell’atelier Blumerfriends – Quando trovi le parole per descrivere un progetto, per dargli un titolo, catalizzi una potenzialità che supera anche quella del disegno”. Il digitale rende però il racconto più complesso: “Si prova a comunicare qualcosa che non è ben codificato e porta in luoghi dove il codice sparisce. Riesce a fare bene questa cosa con le opere geometriche – con un codice preciso – Marcello Morandini”.

“La fondazione nasce dalla mia amicizia con due persone di New York che ci hanno dato una somma per comprare la sede – racconta l’artista, che ha inaugurato a Varese una mostra permanente delle sue opere – È stato un sogno, ma anche una grande responsabilità. Io sono da anni arroccato sull’arte concreta e avevo il desiderio da anni di avere un luogo preposto, una sede italiana ufficiale di arte concreta”. La scelta di Varese è stata l’unica possibile, perché “la città non ha mai impedito a nessuno di essere quello che vuole. Qui si può fare tutto, ma noi come professionisti dobbiamo essere un po’ più feroci”.

“Tantissimi cercano e leggono l’arte e pendono dalle labbra degli artisti, cercando l’afflato dell’infinito. Lo strumento dell’intervista quindi è fondamentale – spiega ancora Bordignon – Ogni artista è a sé, non c’è un modo standard per approcciarsi. Non c’è una regola o un modo”. Cambiano le modalità di dialogo e spesso trovare un equilibrio è complesso: “C’è qualcuno che preferisce spiegare lato tecnico è questo è a suo modo autentico. Altri dicono il perché scelgono un soggetto e in qualche modo tolgono la magia e fanno qualcosa di didascalico. A me piacciono gli artisti che dicono senza dire, è meno interessante quello che ti rivela tutto, perché quando mi trovo davanti all’opera non posso più avvicinarmi a illeggibile e infinito”. “Ti ricordi le interviste che ti fanno scoprire qualcosa” aggiunge Blumer. “Ogni artista quando risponde va rispettato, è una persona con espressioni artistiche diverse ed è interessante quello che nasconde e che dice – racconta Morandini – Quando sono intervistato ho la fortuna di tirare fuori cose che avevo dentro da tempo. Ognuno ha una verità umana e artistica diversa. Amo quello che cercano di dare come partecipazione a questo mondo e alla loro professionalità”.

Organizzato da

Con il supporto di

Main Sponsor

Sponsor

Patrocinio di

In collaborazione con

un ringraziamento a